Sempre più città propendono alla chiusura del traffico ai veicoli più vecchi e più inquinanti. L’Alto Adige che ha già vietato dal 2019 la circolazione di tutti i veicoli a motore di classe euro zero e euro 1, da luglio di quest’anno vieterà la circolazione veicoli fino alla classe Euro 4 diesel e da luglio 2023 i diesel Euro 5. Il “modello Alto Adige” è stato copiato più volte dal resto d’Italia, non dimentichiamo che Bolzano è stato il primo comune in Italia ad introdurre l’obbligo della raccolta differenziata, quindi non ci vorrà molto che altre provincie seguano l’esempio.
Ma siamo che sicuri che sia la strada giusta da percorrere? Il lockdown della primavera scorsa ha offerto un’occasione unica e irripetibile per monitorare l’impatto ambientale delle autovetture grazie alla riduzione del traffico dovute ai divieti di circolazione, alla chiusura delle scuole e alla diffusione dello smart working. A questo dobbiamo ancora aggiungere la riduzione del traffico aereo che, tra tratte nazionali ed internazionali è stato mediamente del 63%. Non dimentichiamo inoltre che il 2020 è stato un anno poco piovoso e nei mesi di gennaio, febbraio e novembre le precipitazioni hanno registrato il valore più basso degli ultimi 15 anni e questa situazione non ha certo contribuito alla dispersione degli agenti inquinanti.
La qualità dell’aria ha iniziato a migliorare solo nella seconda metà di aprile, ma cosa significa questa data? Significa la chiusura degli impianti di riscaldamento degli edifici. Si è quindi visto che la riduzione del traffico veicolare non ha portato gli effetti che ci si aspettava perché la combustione del motore termico non inquina così tanto come si è sempre creduto. Per la qualità dell’aria sono più impattanti le particelle rilasciate dall’attrito che si crea durante la frenata di una vettura piuttosto che la sua circolazione, problema che invece le vetture elettriche non hanno. Anzi per queste ultime la frenata è in grado di produrre energia.
Quello che è veramente impattante per la qualità dell’aria che respiriamo è la combustione delle caldaie di vecchia generazione delle nostre case.
Molte città per ridurre le emissioni adottano misure come le domeniche senza auto, quando invece -per assurdo – per ottenere benefici ambientali sarebbe più opportuno adottare le domeniche senza riscaldamento.
È impensabile che questo possa avvenire, ma assume sempre maggiore importanza efficientare energeticamente gli edifici in modo da poter ridurre le emissioni.
Per fare ciò si presenta nuovamente un’occasione unica, quella di usufruire delle agevolazioni fiscali previste dal superbonus 110%. Abbiamo veramente la possibilità di migliorare energeticamente i nostri edifici a costo zero o quasi. Qualora chi eseguisse i lavori non lo facesse a costo zero, ma chiedesse che una percentuale (mediamente il 10-15%) rimanesse a carico del committente si tratterebbe comunque di una cifra ben investita per il nostro futuro.
La maggior parte degli edifici italiani è stata costruita tra il 1971 ed il 1980 (fonte ISTAT) periodi nei quali non ci si preoccupava dell’inquinamento globale, tantomeno del buco nell’ozono che è stato scoperto appena nel 1985.
Il censimento dell’Istat fatto nel 2011 contava 12.187.698 edifici e oltre 31 milioni di abitazioni. Di queste il 22,7% è costituito da abitazioni vuote o occupate da non residenti. Il 15% degli edifici è stato realizzato prima del 1918 e circa il 65% prima del 1976, anno in cui viene introdotta la prima legge sul risparmio energetico. All’epoca però non si pensava all’impatto ambientale, ma solo a risparmiare petrolio perché l’Italia era appena uscita dalla crisi petrolifera del 1973 e voleva essere preparata ad affrontarne un’altra qualora ci fosse stata. Non si è dovuto aspettare molto perché è arrivata nel 1979.
I tempi sono cambiati, gli studi in materia si sono affinati ed oggi siamo consapevoli dei rischi che corriamo, ma sappiamo anche come affrontarli e dobbiamo pensare maggiormente all’ambiente dotando gli edifici esistenti, ove possibile, di tutto il necessario per ridurre il loro impatto ambientale.
Ci ha pensato il DPR 412/93 modificato dal DPR 551/99 che prevede che per abitazioni, uffici, scuole e negozi che si possa tenere una temperatura superiore ai 20 gradi con una tolleranza di due gradi.
Dal rapporto annuale Enea del 2016 si evince comunque che il 2013 ha fatto registrare un consumo di gas per il settore residenziale pari a 30 Mtep che costituisce il 47% del consumo totale.
In continuo aumento invece sono i consumi di energia elettrica nel settore residenziale che incide per il 76% del consumo totale dovuto al riscaldamento ed al raffrescamento.
È in continua crescita anche la richiesta di gas del settore non residenziale che, sempre nel 2013 ha fatto registrare un consumo pari a 20 Mtb. Non accenna a calare nel settore non residenziale la richiesta di energia elettrica, anzi anche questo settore registra una continua crescita.
Chiudendo i bilanci condominiali del 2020 tutti gli amministratori di condominio si sono resi conto di quanto il lockdown abbia fatto incrementare i consumi di energia per le famiglie.
La normativa sul risparmio energetico però si scontra con le regole del marketing che prevedono che i negozi debbano tenere la porta sempre aperta in tutte le stagioni dell’anno in quanto “invoglia” il consumatore ad entrare. Malviste sotto questo profilo sono soprattutto le grandi catene ed i centri commerciali spesso surriscaldati.
Non dobbiamo farci sfuggire l’opportunità che abbiamo per efficientare energeticamente gli immobili perché oltre ad acquisire una rivalutazione economica contribuiscono enormemente alla riduzione degli agenti inquinanti che diffondiamo nell’aria.